Gustare la carne infornata alla messinese, o meglio ancora vederla preparare, è una vera esperienza. Non tanto per il piacere di assaggiarla, quanto per il piacere della scoperta.
Quanti di voi hanno assaggiato la carne infornata alla messinese? Questa ricetta, a dire il vero, appartiene alla tradizione siciliana, ma nella provincia di Messina l’usanza di prepararla è particolarmente forte. Si mangia in occasione di feste patronali o grandi comitive riunite, per festeggiare qualcosa di importante, data la lunga e laboriosa preparazione.
Per realizzare “a canni ‘nfunnata” occorrono mani sapienti, esperienza, e anche i giusti mezzi, come il forno a legna dedicato. Non un forno a legna qualunque, attenzione, ma quello destinato unicamente alla cottura della carne di capra o pecora, che all’interno perde liquidi e odori, impregnando così tanto i mattoni da lasciare un segno indelebile e rendere impossibile la cottura del pane o di altri alimenti nello stesso forno. Incredibile vero? Per questa ragione oggi la pietanza viene preparata per lo più da macellerie o amanti del cibo ben attrezzati, a differenza del passato, quando “tutti avevano un forno e una capretta, e quindi mangiavano la carne al forno ogni volta che lo desideravano”, come racconta il mio amico Nicola.
Per comprendere come si prepara questa meravigliosa ricetta mi sono recata proprio da una famiglia di compaesani, che hanno svolto davanti ai miei occhi un lavoro preciso e minuzioso, fatto di tanta collaborazione. Servono più mani e tante ore per riempire un forno di carne; sì perché a tavola solitamente siedono almeno 50 persone quando si macella un animale per cuocerlo nel forno a legna. Ed è proprio una grande festa. Sveglia all’alba dunque, per iniziare a sbucciare papate e cipolle, tagliare pomodori a rondelle, preparare le teglie, procurare le erbe aromatiche in campagna, e sistemare gli spazi necessari ad accogliere tantissimi amici e parenti.
Cos’è e come si cuoce la carne infornata alla messinese
La scelta ricade sempre tra pecora e capra, e spesso si predilige l’esemplare maschio castrato. I mesi estivi sono quelli più indicati, perché l’animale presenta più grasso e regala una maggiore dolcezza al palato. Il sapore sarà deciso e l’odore pungente, ma i giusti condimenti sapranno aggiustare la pietanza e renderla piacevole anche ai palati più fini.
La vera particolarità di tutta la preparazione sta nella cottura. Occorre un forno tradizionale, rivestito con mattoni refrattari e capace di sopportare elevate temperature. Per fargli accumulare tutto il calore necessario bisogna ardere legna per almeno 3 ore. Non si può sbagliare, perché una volta spazzati via i residui di legna e cenere, e sistemata la carne all’interno, la bocca del forno si chiude e viene sigillata, spalmando lungo i bordi materiali come il gesso, in grado di scongiurare una dispersione di calore. Il risultato è sempre una sorpresa! Vietato aprire per controllare se la carne brucia o al contrario rimane cruda. Bisogna aspettare almeno 4 ore prima di rompere il gesso e svelare finalmente l’esito di tanto lavoro.
Come si condisce
Paese che vai, usanza che trovi. Il castrato può essere condito e messo in cottura seguendo diverse metodologie, alcune davvero peculiari e affascinanti.
Ad esempio la carne può essere lasciata a quarti interi e adagiata sulle classiche tegole di terracotta, disposte una accanto all’altra sul suolo del forno a legna.
(Guarda qui come) Mentre cuoce, i liquidi hanno la possibilità di scolare attraverso le tegole e finire sul letto del forno. Il risultato è una carne morbida e asciutta, da estrarre con una grande forcina.
Se la carne viene tagliata a pezzi, è comoda invece la cottura in teglia. In questo caso si può giocare con gli ingredienti, per una pietanza più ricca e gustosa.
In ogni teglia si dispone un primo strato di carne, che si condisce con sale, pepe nero, una spruzzata di aceto di vino bianco (per smorzare l’odore forte), e un filo di olio di oliva. Non devono mancare foglie di alloro o salvia, e tanto rosmarino fresco. Si aggiungono poi patate tagliate a metà e cipolle rosse affettate. L’ultimo strato è costituito da pomodori tagliati a rondelle. Il loro compito è quello di assorbire calore ed evitare che tutto il resto si bruci. La loro acqua di vegetazione inoltre consente alla carne di cuocere alla perfezione. Su di essi, ancora una spolverata di sale, e a piacere anche qualche rondella di peperoncino, se si ama il piccante. E’ importante coprire le teglie con carta argentata.
Ho imparato un ulteriore metodo di cottura, anche questo interessante. Riguarda le parti di spalla e costato. Questi due tagli vengono accoppiati e chiusi a fagotto, insieme a spezie e rosmarino. Si rivestono con l’omento, una sorta di rete formata da grasso, recuperata dallo stesso animale; in questo modo la carne diventerà umida e dolce. Si realizza un vero e proprio cartoccio, avvolgendo tutto con la carta argentata.
Qualunque metodo si scelga, la carne infornata alla messinese in cottura diventa una vera prelibatezza. Stupisce la sua morbidezza: se si è fatto un buon lavoro, si staccherà facilmente dall’osso, e sarà umida e succosa. A Messina, nel piatto, non può mancare in abbinamento un’insalata di cipolle, e ovviamente un ottimo vino rosso locale.
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